Voglia di volare
Voglia di volare, già. Sembra facile, da dire. Ma risulta difficile, anche solo da pensare, se pesi più di 150 chili.
Mi chiamo Marcello e questa è la storia del mio incontro con Volo Oltre e di come questo incontro mi abbia restituito, se non altro, almeno la speranza, un giorno, di poter tornare anche io a volare.
Pesare oltre 150 chili non è solo una condizione di morbilità fisica. E se sei un uomo dalla personalità strutturata, non è nemmeno tanto un problema di natura estetica. Pesare oltre 150 chili è prima di tutto una condizione mentale nefasta. Un pensiero fisso che ti martella nella testa continuamente, trasformando il cibo e tutto ciò che gli ruota intorno in una perenne ossessione: quando sei lontano dalla tavola, l’ossessione è il pensiero fisso di come fare, oggi, almeno oggi!, a resistere alle tentazioni. Quando alla tavola ti avvicini, l’ossessione si tramuta in foga e la bocca diventa l’apertura attraverso la quale ingolfare l’otre in cui hai trasformato il tuo corpo.
Nessuno nasce pesando più di 150 chili. Non si diventa così in pochi giorni, o in pochi mesi. E nemmeno in pochi anni. E’ un piano inclinato, nel quale ti ritrovi, spesso inconsapevolmente, e sul quale scivoli, dapprima molto lentamente e senza farci troppo caso. Finché, piano piano andando sempre più veloce, arrivi al punto che la velocità della tua discesa agli inferi è incontrollabile. Vorresti fermarti, invertire la rotta o perlomeno rallentare, ma oramai non sei più tu a governare il gioco e la discesa pare inarrestabile. Anzi, non è più una discesa: è una caduta. E come in tutte le cadute, quando tocchi terra, ti fai male. Ma molto prima di toccare terra, è la consapevolezza della caduta a terrorizzarti, ad annichilirti e a lasciarti solo con il tuo mondo di angosce e silenzi.
Noi ciccioni, molto spesso, siamo bravissimi a costruirci personaggi simpatici da esporre al resto del mondo. Tante volte, siamo noi i primi a scherzare sulla nostra condizione, come se farci male da soli potesse in qualche modo rendere meno dolorose le ferite che gli sguardi e le facili morali altrui ci infliggono. Corazzati all’apparenza dalle nostre imponenti dimensioni, diventiamo maestri della minimizzazione del problema, fino alla sua negazione e talvolta alla sua celebrazione (grasso è bello!).
La realtà è che, persi nella nostra stessa enormità, circondati o meno dall’affetto di chi ci vuol bene, per la gran parte, siamo semplicemente soli con il nostro gigantesco problema. E nella solitudine, il cervello lavora, lavora, lavora. Alle spalle dell’anima, avvelena la nostra coscienza, minando ogni barlume di autostima. Ad ogni speranza, ad ogni illusione che le cose possano cambiare, segue immancabile la delusione del fallimento. E più falliamo, più l’unico rifugio che ci rimane è quel cibo da cui oramai dipendiamo non più secondo una logica di vita, ma in una dipendenza mortifera.
Personalmente, il mio doloroso atterraggio dalla caduta è avvenuto in una ravvicinata serie di circostanze, quando la dura realtà dei fatti ha spazzato via ogni barlume di illusione nel quale avevo cercato rifugio. Dapprima, la constatazione dell’impossibilità di vestirmi in qualsivoglia negozio “normale”, quelli per capirci che arrivano con le taglie al massimo alla XXXL. Quindi, una serie di problemi di salute, mai avuti in precedenza, tutti chiaramente legati all’enorme sovrappeso (dall’ipertensione, alle apnee notturne, passando per dolori articolari da eccesso di carico, fino al mal di schiena e al perenne affaticamento). Quindi, la constatazione che improvvisamente, le mie lunghe braccia erano diventate troppo corte per permettermi di adempiere agevolmente a compiti elementari, quali allacciarmi le scarpe o perfino provvedere in modo adeguato alla mia igiene personale. Aggiungiamoci le numerose sedie sfondate o le cinture di sicurezza degli aerei non più sufficienti ad abbracciare il mio girovita senza prolunghe. Facile capire che più che una caduta, il mio è stato un tonfo. Sordo, dolorosamente secco. Lo specchio, già rifuggito da anni per evitare di dover fare i conti con la mia immagine, improvvisamente è diventato testimone del mio disprezzo verso me stesso. Tutta la mia volitività, tutta la mia forza d’animo, tutto il mio coraggio, improvvisamente sono stati spazzati via dalla constatazione del mio miserrimo fallimento. Schiacciato dal peso della colpa più ancora di quello dell’adipe, per qualche istante ho seriamente pensato che in fondo un infarto o un ictus, probabilmente sarebbero stati il modo più veloce per risolvere il problema per sempre.
E invece, proprio quando stavo per abbandonarmi alla disperazione, una mano mi ha scosso, si è offerta e io l’ho afferrata. Quella mano, rappresentata da un’associazione nata dalla volontà di alcuni genitori di persone affette da disturbi del comportamento alimentare, incrociata per puro caso, mi ha restituito la speranza che le cose possano cambiare. Volo Oltre non è un ente di ricerca. Al suo interno non ci sono ricercatori e di sicuro non è da qui che nascerà la pillola miracolosa che curerà i tanti disturbi del comportamento alimentare. Certo, all’interno dell’associazione prestano la propria opera fior di professionisti e l’attività è improntata secondo i dettami della scienza medica e comportamentale, ma prima e più ancora di questo, Volo Oltre è un’associazione di persone che hanno conosciuto il dolore. E proprio per questo, sanno riconoscerlo negli altri. Sanno che il dolore va compreso, non combattuto. Sanno che va persino custodito e accudito, affinché chi ne è affetto, possa imparare a farci i conti, fino ad arrivare al punto di decidere di provare a superarlo.
Questa mia breve storia, non ha il lieto fine, non per ora. Non posso dirvi che grazie all’associazione oggi peso 85 chili e sono rinato, perché mentirei. Peso sempre più di 150 chili. Ma è grazie alle persone meravigliosamente normali nella loro specialità che ho incontrato qui, che oggi ho acquisito maggiore consapevolezza del mio problema, delle sue cause e delle strategie, se non per combatterlo, almeno per contenerlo. E’ grazie alle persone che ho incontrato qui, alla loro capacità di ascolto comprensivo, che ho modificato in radice tutta una serie di miei preconcetti e ora, con mente più aperta e libera, prendo in considerazione trattamenti medici che prima rifiutavo e che potrebbero aiutarmi a risolvere la mia situazione.
Io non so come andrà a finire. Non lo so, se tornerò mai a volare. Ma so che se posso anche solo sperare di poterlo fare un giorno, lo devo all’associazione e alle persone che la animano. Viviamo un’epoca di chiusura, di rifiuto e timore per gli altri e per tutto ciò che viene visto come diverso. E se i diversi siamo noi, proprio per questo, ci isoliamo ancora più di quanto già la società non faccia con noi. Queste parole vogliono solo essere un piccolo contributo per aiutare chi si trovi in situazioni di questo tipo a non rimanere chiuso nel proprio dolore nero e silenzioso. Fuori di voi, a pochi passi da casa vostra, ci sono persone, c’è un’associazione che, senza pretendere di fare miracoli, vi stanno aspettando per darvi una mano. Per poter tornare, insieme, a Volare Oltre.